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Immagine del redattoreSalvatore Delli Paoli

LA PESTE DEL 1656 A MARCIANISE

Aggiornamento: 8 apr 2020

1656: è l’anno della diffusione nel Viceregno di Napoli della terribile peste bubbonica, che decimò la popolazione, aggravando le generali condizioni di vita già grame per l’esoso fiscalismo spagnolo. A Napoli città si calcola che morirono oltre 400.000 persone. Ma il calcolo dei morti e l’incidenza di questo flagello sulle province napoletane non è stato ancora fatto. Per Terra di Lavoro, la più importante delle province napoletane, invece, questa ricerca è stata effettuata, e dobbiamo dire, con ottimi risultati, da Giampiero Di Marco, medico di Sessa Aurunca, già noto agli studiosi per importanti pubblicazioni di carattere storico, riferite in particolare all’alta provincia di Caserta. Il suo volume Terra di Lavoro nell’anno della peste (Arte Tipografica, pp. 369, euro 20) raccoglie una documentazione meticolosa, sempre direttamente verificata e, perciò, in gran parte originale, fondata prevalentemente su fonti ecclesiastiche (le relazioni ad limina dei vescovi delle diocesi della provincia, i registri dei morti delle parrocchie), ma anche civili, come ad esempio gli atti notarili. Ne viene fuori uno spaccato analitico che, territorio per territorio, dove più, dove meno, vede dappertutto l’impotenza nei confronti di un male che insidiosamente si diffonde, nei cui confronti davvero poco possono i rimedi empirci, messi in essere, quasi sempre tardivamente, dalle autorità, in una lunga e terribile teoria di morti che dissemina il territorio dell’intera provincia, praticamente invasa dalla popolazione che fuggiva da Napoli, e che contribuiva, in tal modo, a diffondere il contagio.
Di questo evento terribile, non esisteva memoria a Marcianise, se non in quadro di Paolo De Majo dell’Annunziata. Questo, collocato nel cappellone orientale dedicato alla Madonna dell’Immacolata, raffigura appunto la peste del 1656 a Marcianise, durante la quale , mentre ancora imperversava il morbo, l’intera comunità di Marcianise, in quel tempo definita con il termine di Università, deliberò doversi l’Immacolata “solennizzare dalla nostra Università di Marcianesi in virtù del pubblico voto fatto da tutto il ceto dell’Università predetta, Laici ed Ecclesiastici, stipulato per mano del Not. Giuseppe Pellegrino di Marcianesi a dì 21 Agosto 1656, per essere stata liberata detta Università dal crudel contagio che in quel tempo veniva oppressa”.
E’ un quadro altamente drammatico dominato dalle braccia tese dei fedeli, alcuni dei quali indicano gli ammalati e anche i morti di peste, e altri in preghiera che si raccolgono intorno a un sacerdote che sembra raccogliere quasi le loro invocazioni a scongiurare l’intervento della Vergine Immacolata.


Questa è raffigurata appunto nella parte sinistra della tela, sopra un altare. Sullo sfondo uno scorcio di Marcianise: si individua abbastanza facilmente il campanile della chiesa della Annunziata e la facciata del Duomo che lascia intravedere la cupola del presbiterio successivamente crollata a causa di un terremoto nel 1805 e non più rifatta, perché sostituita con una bassa calotta.
Interessante anche il fatto che il centro urbano della città appare racchiuso da una cortina muraria al cui angolo è ben visibile una torre cilindrica. Qualcuno ha voluto vedere nella figura del sacerdote, peraltro non con paramenti liturgici, lo stesso Paolo de Majo: lo escluderei, anche perché il religioso che compare nella tela ha il volto giovanile e Paolo nel 1778 ha ormai 75 anni.
Se poco Di Marco dice di essere riuscito a raccogliere dai registri parrocchiali molto, invece egli pubblica ricorrendo alle fonti notarili, in particolare attingendo dal protocollo del notaio marcianisano Giovan Vincenzo de Maio (nonno del pittore Paolo) proprio dell’anno 1656, che vede un singolare incremento di testamenti di persone o già afflitte dal morbo, o ancora sane che temevano però il contagio. Leggendo questi atti si possono derivare informazioni preziose sulle località, sulla topografia della città, sulle abitudini, ma anche trovare conferme attinenti a situazioni locali le più diverse, oltre che chiare indicazioni sui cognomi, che sono già quelli attualmente diffusi a Marcianise.

Già nel mese di luglio 1656 la malattia era presente in città: il 23 luglio Antonio Maffeo “in orto in platea AGP propter suspectum currentis morbi contagiosi seu pestis, licet infirmum corpore sanum mente” (nel giardino nella piazza Ave Gratia Plena -come dire l’Annunziata, così definita dalle parole con cui l’angelo salutò Maria- a causa del sospetto della corrente malattia contagiosa, ovvero la peste, sebbene infermo di corpo ma sano di mente) detta il testamento in favore del figlio reverendo Pompeo Maffeo. Dove appare interessante il fatto che il testamento viene redatto all’aperto, in giardino, proprio per evitare il contagio. Ancora più interessante un atto in data 9 agosto 1656 che viene steso per comporre un contrasto sorto tra il capitolo della Collegiata di San Michele Arcangelo, fondata come è noto nel 1524, e i procuratori della Chiesa dell’Annunziata, a proposito della sepoltura del sacerdote napoletano Giuseppe Arnaldo che, benché morto nella piazza delli Felici era stato sepolto nel cimitero esistente nel cosiddetto giardino della chiesa dell’Annunziata ubicato sul lato occidentale del tempio. L’attuale cimitero sottostante la Sagrestia fu costruito solo nel 1780. Per parte della Collegiata di San Michele Arcangelo è presente l’intero capitolo e precisamente il primicerio don Paolo De Paulis, utriusque iuris doctor (dottore in entrambe le leggi, ossia quella civile e quella canonica), citato, tra l’altro nella lapide che attualmente si può vedere nella sagrestia del Duomo, come autore di importanti interventi nella chiesa, don Carlo Gionta, cantore (la seconda carica del capitolo), don Stefano Roggiero, don Giuseppe Gionta, don Francesco Commone, don Pietro Iacovo Gaglione, don Pietro Cotignola, canonici, don Giovanni Aniello Delli Paoli, don Filippo Pellegrino, diaconi, don Giovanni Severino e don Pietro Tartaglione, suddiaconi. Per la Casa Santa dell’Annunziata intervengono i procuratori (o economi, come dire amministratori) Detio Foglia, Oliviero Farina e Gaspare Messore, tre dei cinque governatori della Casa Santa e Ospedale dell’Annunziata. E sono i governatori dell’Annunziata a dichiarare che nei giorni precedenti venne da Napoli (e il trasferimento a Marcianise di molti napoletani fu con ogni probabilità la causa della diffusione del contagio) il clerico Giuseppe Arnaldo nelle case di Giovan Jacovo Manocchia, anch’egli napoletano “con occasione del presente contagio seu peste che sta nella città di Napoli, quale case sono site nella piazza delli Felici, diocesi di Capua, ove detto Giuseppe si ammalò di detto contagio e li furno administrati li sacramenti.
Don Giuseppe Arnaldo nel suo testamento fatto il 5 agosto per mano dei notaio marcianisano Giacomo Marca lasciò la bella somma di ben 1.600 ducati all’Annunziata “con patto che voleva essere portato a morire nella chiesa dell’Annunziata. E così fu fatto, venne condotto nella chiesa lunedì sette, dopo alcune ore se ne morì e vi fu sepolto”. Da questo breve testo si possono notare alcune cose molto interessanti. In primo luogo il costume della donazione in punto di morte all’Annunziata, che fu uno dei motivi dell’acquisizione di ricchezza da parte della chiesa che, tra l’altro, proprio tra Seicento e Settecento si arricchì straordinariamente nel suo patrimonio pittorico. A questo elemento si aggiunge il fatto che appare evidente e ben documentata la spiccata rivalità tra i vari enti ecclesiastici, operanti a Marcianise. Nel caso in questione l’Arnaldo, morto in territorio appartenente alla archidiocesi di Capua doveva essere sepolto nel cimitero sottostante il Duomo e non nell’Annunziata, il cui clero non era abilitato ad esercitare i sacramenti non essendo la chiesa parrocchia. L’atto del notaio De Maio risolse la controversia, essendo la cosa avvenuta su disposizione del generoso benefattore; in ogni caso, i governatori nel documento ci tennero a dichiarare “che essi non hanno mai preteso né pretengono di fare pregiudizio al Capitolo”.
L’atto in questione, però, diventa ancora più prezioso, perché in esso è inserito un piccolo foglio slegato dalle restanti pagine del registro con una straordinaria indicazione, che ci dà, per così dire, la statistica delle morti per peste avvenute a Marcianise nel 1656 e 1657. Il notaio De Maio, infatti, sindaco della città proprio negli anni 1656 e 1657 scrive: “Nel sindicato di me notario Giovan Vincenzo De Maio, memoria delle persone passate a miglior vita per causa di peste nella Terra di Martanise nell’anno 1656 e 1657. Nel mese di mag-gio numero 1. Nel mese di giugno, numero 11. Nel mese di luglio numero 94. Nel mese di agosto numero 179. Nel mese di settembre numero 187. Nel mese di ottobre numero 215 (la punta massima). Nel mese di novembre numero 110. Nel mese di dicembre numero 33. Nel mese di gennaro 1657 numero 8”. E’ un totale terribile di ben 838 vittime in appena nove mesi. E se calcoliamo, su base comunque puramente indicativa, basandoci sui fuochi, che la popolazione totale non doveva essere superiore alle tremila-quattromila persone, si ha subito chiara l’incidenza terribile della peste sulla città. Sul retro del foglietto il notaio De Maio fa poi un calcolo delle persone ancora ammalate e che si sperava in via di guarigione a Marcianise nei primi mesi del 1657: “Malati, Carzano ancora dui, uno di contagio e l’altro di febre; piazza Simeone numero tre di infermità ordinarie; piazza Felici numero 5, quattro di contagio et uno di altra infermità; piazza Pagnani numero dui, uno di contagio e l’altro di febre; Terra numero 4, tre di contagio e l’altro di febre; AGP Bartolomeo Sconce di pontura”. Questa annotazione acquisisce anch’essa rilevanza oltre che per le notizie che riguardano la peste, soprattutto per le località che nomina: Carzano, S. Simeone, Pagnani. Ma particolarmente importante è quella delli Felici, nella zona che ancora attualmente viene così denominata e che quindi deriva il suo nome non come si è pensato da parte di alcuni per il fatto che la via è dedicata a Pietro De Felice, primicerio del duomo di Marcianise e creato vescovo di Sessa Aurunca nel 1796, attivamente partecipe agli eventi legati alla vita dell’effimera Repubblica Napoletana del 1799 sul fronte filoborbonico, quanto per il fatto che in questa zona era presente una chiesa, posta ai margini dei bastioni del castello. Castello che risulta del tutto esistente in questi anni come dimostra il fatto che il notaio per definire il centro urbano vero e proprio di Marcianise usa la locuzione Terra. Questa chiaramente indica un abitato fortificato, come in Dante che così denomina la città di Dite, circondata appunto da un muro “Or s’en va per un segreto calle tra il muro della Terra e li martìri”.
Un’ulteriore indicazione intorno al castello viene, inoltre da un altro documento dello stesso notaio De Majo, per la precisione il testamento di Giacomo de Amorosa raccolto in casa dello stesso posta “nel Trivice de fora la porta”: difficile indicare di quale trivio si tratti, ma quello che importa è che si tratta di un trivio fuori della porta del castello, di una delle porte del castello di Marcianise. Meno attivi altri notai di Marcianise che operano negli stessi anni. Del notaio marcianisano Jacobo de Marca, che abbiamo già trovato prima, merita di essere ricordato un atto dell’agosto del 1656 dal quale apprendiamo che visto l’incidenza della peste una sorta di lazzaretto era stato attivato presso l’ospedale dell’Annunziata. Attivi a Marcianise sono anche i notai Giovan Battista Gionta e Domenico Moleti. Del primo i documenti che hanno pertinenza con la peste sono pochissimi, del secondo merita di essere ricordato un atto del 3 novembre 1656 con il quale il sindaco notaio Giovan Vincenzo de Maio, insieme con l’eletto Giovan Battista de Izzo concede all’appaltatore Giovan Antonio Aysla “il fitto delle gabelle della farina e altre victuvaglie a carlini due il tomolo per un anno”, che ci ricorda, in qualche maniera, il regime di avida fiscalità introdotta dagli Spagnoli nel viceregno di Napoli e l’uso di appaltare queste gabelle ad altrettanti esosi appaltatori, in cambio di un minimo garantito.

Salvatore Delli Paoli

Foto nel testo (dall'alto):
Paolo de Majo, La peste a Marcianise, 1778
Paolo de Majo, Madonna Immacolata, 1778
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