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CINQUANTA ANNI DI VITA SOCIALISTA A MARCIANISE DI ARCANGELO ARMIERO.

  • LE MEMORIE DI UN PROTAGONISTA DELLA VITA POLITICA A MARCIANISE NELLA PRIMA META' DEL SECOLO SCORSO.

  • Saggio introduttivo, note e appendice di Salvatore Delli Paoli

PREFAZIONE


Le memorie di Arcangelo Armiero, che qui si pubblicano per la prima volta, costituiscono un documento di singolare interesse ai fini della ricostruzione della storia politica e civile di Marcianise nella prima metà del secolo XX.

Esse sono la testimonianza di un protagonista di quella lunga lotta che doveva portare all’affrancamento della classe popolare da antiche servitù imposte di fatto, prima del fascismo, dalla presenza in loco di un blocco parentale-affaristico costituito essenzialmente dalle famiglie egemoni, che avevano praticamente occupato il potere locale, e, durante il fascismo, dall’avvento della dittatura, che sostanzialmente perpetuò quel blocco con pochi innesti.

L’arco cronologico coperto abbraccia un periodo che va dai primi anni del 1900 fino agli anni successivi alla conclusione della prima guerra mondiale: un periodo essenziale per Marcianise, durante il quale si ripropongono, naturalmente in un ambito di più ristretto livello, problemi e questioni che segnano la storia dell’Italia in generale, con peculiarità, comunque specifiche, che fanno di Marcianise un “caso” del tutto particolare della storia di Terra di Lavoro.

Diversamente, infatti, da altri centri del Meridione, lo studio del movimento socialista in loco, cui le “memorie” di Armiero offrono un contributo significativo, deve tener conto del particolare contesto entro cui esso si sviluppa, condizionato com’è da una situazione specifica che appare del tutto peculiare. Il fatto è che la lotta socialista a Marcianise, che si manifesta con particolare ritardo rispetto ad altre zone d’ Italia, appare condizionata da un ceto di possidenti agrari che sono anche quelli che gestiscono l’immenso patrimonio terriero della Congrega di Carità e di altri enti religiosi.

L’amministrazione clientelare e sostanzialmente discrezionale degli affitti delle terre della Congrega, unita a quella altrettanto clientelare dei sussidi di varia natura che soprattutto la Congregazione di Carità attribuiva, sempre in maniera del tutto discrezionale e in pratica senza alcun controllo delle autorità superiori che pure avevano l’obbligo della vigilanza, poneva la povera gente in una condizione di ricatto rispetto a coloro che avevano la possibilità di affamarla o farla vivere (o meglio sopravvivere) e ciò contribuisce da un lato a tacitare l’opposizione proletaria (sempre, naturalmente, di carattere rurale), dall’altro a ramificare un sistema di protezione, e anche di illegalità, che serviva a conservare il potere per chi lo gestiva da sempre, ma anche a diffondere una forte disaffezione nei confronti del bene comune, alimentando una disaffezione nei confronti del senso civico, di cui, ahimè, ancora oggi si scontano gli esiti.

La storia di queste istituzioni di beneficenza è stata fatta solo in parte e per la Congregazione di Carità, erede della Casa Santa dell’Annunziata, mi permetto di rinviare al mio lavoro “Il potere della miseria”[1], nelle cui pagine sono documentate le gestioni delle amministrazioni che si sono succedute alla guida dell’ente dalla metà dell’Ottocento, fino ai primi decenni del Novecento: e si tratta di una storia anch’essa esemplare che testimonia le disamministrazioni, le inadempienze, le ruberie di varia natura messe in essere dagli amministratori dell’ente. Basti pensare che che dal 1881 al 1906 furono ben 10 i commissari straordinari nominati in sostituzione dell’amministrazione ordinaria per mettere ordine alle gravissime inandempienze verificate e accertate dai vari prefetti che si succedettero alla guida della provincia di Terra di Lavoro.

Ma la Congregazione di Carità, ancorché accresciuta nel suo patrimonio dopo che Giambattista Novelli legò ad essa pressoché interamente il suo patrimonio (1881)[2] non esauriva completamente il panorama degli enti assistenziali che gestivano cospicue risorse immobiliari e finanziarie, perché, quanto meno, si deve fare riferimento anche al Monte dei Pegni, nato nel 1564, ad opera di Giulio Foglia, come emanazione di una Congregazione, detta dei Bianchi della Misericordia, a formare la quale erano chiamate solo “persone laiche e secolari abitanti tantum dentro la Terra, Pagnani, Carzano et alli Felici, escluse le altre”[3], nel numero esclusivo di 41 confratelli.

Dal che si evince chiaramente la selezione localistica e di classe della Congregazione medesima con la limitazione dei quartieri di provenienza dei fratelli, quelli “storici” di Marcianise, dove erano edificati i palazzi delle famiglie più importanti di Marcianise, i cui esponenti ne erano anche i membri; questi, tra l’altro, avevano anche la possibilità di lasciare, per così dire, in eredità il posto ai loro parenti diretti, una volta morti. La dizione dentro la Terra indica, infatti, l’area dell’antico castello o cinta fortificata, Pagnani è l’attuale quartiere sorto intorno a via Nicola Gaglione, Carzano (probabilmente in origine Marzano, con riferimento all’omonima famiglia) è la zona di via Giulio Foglia, mentre alli Felici è l’attuale via Pietro De Felice.

Anche in questo caso, la nobile intenzione iniziale, come nel caso della Congregazione di Carità, nata come Casa Santa dell’Annunziata, per gestire le opere assistenziali, quali l’ospedale, l’ospizio per i vecchi e le vecchie abbandonati, l’orfanotrofio, ecc., che era quella di sovvenire i contadini attraverso il credito su pegno senza interessi, fu, nel corso dei decenni, sempre più secondaria rispetto alla gestione dell’ente fatta nell’interesse degli amministratori.

L’occupazione del potere, dunque, rendeva impossibile, o asfittica la vita democratica, mentre il controllo sociale avveniva attraverso la sottomissione della classe contadina su cui non poco incideva anche il peso del clero, particolarmente numeroso a Marcianise.

Questi elementi sono tutti rinvenibili nel manoscritto Armiero, soprattutto, nella prima parte dove egli traccia, a larghe linee, l’azione svolta da Domenico Santoro negli ultimi anni dell’800 e nei primi del Novecento, nel nobile tentativo di rompere quel blocco, attraverso l’opera della denuncia giornalistica. Si avverte nelle parole di Armiero, che parla di se stesso in terza persona, quanto di ideale ci fosse in quella lotta e i toni si innalzano allorquando egli delinea la costituzione del primo nucleo di “resistenti” che arrivano al socialismo, quasi tutti, senza una cosciente adesione dottrinaria, ma sulla base di una esperienza diretta e credendo in un socialismo umanitario non privo di spunti cristiani ed evangelici, come scrive lo stesso Armiero:

“I pochi simpatizzanti del movimento socialista si costituirono in nucleo clandestino per continuare a diffondere le idee socialiste.

Essi entrarono nel partito con lo spirito di quei socialisti evangelici che poco conoscevano le opere di Karl Marx, e la maggioranza appena conosceva il suo nome, non avevano approfondito lo studio del pensiero marxista, ma la loro lotta rispondeva ad una necessità storica del momento e, certo, per primi diedero ai lavoratori italiani una coscienza di classe: quegli evangelici dalle cui file non uscirono transfughi mentre tanti altri, dopo di aver blaterato per anni contro il partito d’intransigenza e di rivoluzione ed aver a quello imputato il tradimento del proletariato, passarono disinvoltamente alle forze reazionarie per un piatto di lenticchie”.

A ciò si aggiunge il nome di Domenico Santoro che fece da collante: Domenico Santoro, il nume tutelare, l’apostolo del riscatto dei miseri, la cui morte prematura divenne la prima pietra di un edificio da costruire nella coscienza dei Marcianisani.

Domenico Santoro[4] nacque a Marcianise il 1 novembre 1872 da Giuseppe e Angelina Di Benedetto, una famiglia del piccolo ceto impiegatizio: dopo i primi studi, frequentò il Liceo a Caserta e successivamente la facoltà di Lettere dell'Università di Napoli dove subì il fascino di Arturo Labriola. Qui a Napoli appunto entrò in contatto con gli ambienti radicali e socialisti napoletani e fu in amicizia con uomini come Pasquale Guarino, Enrico De Marinis, Francesco Lo Sardo.

Le sue convinzioni politiche in questi anni si uniformavano ad un generico ed umanitario socialismo pieno però di venature radicali e garibaldine: e nel nome di Garibaldi si segnala la sua scelta di andare volontario in Grecia a combattere per la libertà ellenica contro il presunto invasore turco, arruolandosi non a caso nella legione guidata da Ricciotti Garibaldi.

Era il 1897 e l'esperienza di quella spedizione animò in seguito le pagine della Primavera ellenica ; uno stupendo libro di ricordi su quella avventura, ma che è anche il libro della presa di coscienza di Santoro della realtà, certo molto diversa dai sogni libertari e patriottici che avevano ani­mato la sua impulsiva scelta giovanile[5].

Ritornato in patria, dopo la laurea conseguita a pieni voti, Santoro iniziò una intensa attività pubblicistica collaborando con i diversi giorna­li di orientamento socialista che si pubblicavano a Napoli e in Campania, nello stesso tempo in cui, nel suo paese natale, si adoperò per dare corpo e sostanza anche politica alle forze socialiste, organizzando i contadini ed impegnandosi in una forte opposizione alla classe politica che a Marcianise imponeva la sua egemonia.

È questa una vicenda poco nota della biografia di Santoro e mi scuserà il lettore se mi dilungo alquanto su questo episodio recando inoltre documenti pressoché inediti, che possono servire per una migliore conoscenza di questo singolare personaggio della Marcianise tra la fine dell'800 e l'inizio del `900, al quale, tra l'altro, è intitolata la strada più importante della città.

L'articolo in questione appariva pieno di spiriti garibaldini ed anti­monarchici, segno ancora evidente che Santoro non aveva del tutto rinnegato il suo radicalismo giovanile, anche se già arricchito da una evidente tendenza socialista.

Con la sua prosa incisiva e veemente, l'articolo attirò l'attenzione della magistratura. Negli atti dell'istruttoria, conservati presso l'archivio del Tribunale di S. Maria Capua Vetere, sono inserite, tra l'altro, alcune interessanti testimonianze, rese da vari esponenti, che servono, in qualche misura, a dar conto della personalità di Domenico Santoro.

La prima è quella di Alfonso Musone, avvocato di Marcianise e già sindaco della città, che, invitato dal giudice ad esprimere il proprio parere sul Santoro, se la cavava con un giudi­zio agro-dolce in maniera alquanto diplomatica dichiarando che sebbene Santoro fosse 'un bravo giovane (Santoro aveva allora 25 anni, ndr) ed una onesta persona" professava "idee politiche un po’ accentuate, ma se queste idee siano spinte al punto che manifestandole costituiscano reato, perché contro le istituzioni che ci governano o perché incitano a commettere reati, egli non lo poteva dire anche perché non lo seguiva nella pubblicazione dei suoi scritti"[7].

Venne quindi interrogato (il 13 luglio 1898) Francesco Saverio Piccirillo, nella sua qualità di Consigliere provinciale eletto nel collegio di Marcianise, la cui testimonianza fu del tutto favorevole al Santoro[8].

Alquanto negativa, e non ci meraviglia, fu invece la testimonianza di Giuseppe Foglia fu Ercole di anni 44, possidente, Sindaco di Marcianise che dichiarò testualmente: "Conosco Domenico Santoro di Giuseppe e lo ritengo un giovane intelligente di carattere mite, ma facile ad innamorarsi di qualche idea in fatto di politica che non è certamente in armonia con le attuali istituzioni"; anche se poi addolciva alquanto la sua affermazione sostenendo che `lo stesso Santoro si è maturato con gli anni in rapporto a questa sua trascendenza ed ora può dirsi liberale ma non socialista" [9].

Molto interessante fu la testimonianza di Enrico de Marinis, allora deputato al Parlamento, che aveva avuto il Santoro quale suo allievo all'Università, il quale sottoscrisse la seguente dichiarazione:

“Il giovane Domenico Santoro, studioso e colto, è stato sempre stimato da me e dai miei colleghi dell'Università di Napoli come persona di carattere moderato, incapace di alcuna violenza di idea o di linguaggio. Tra i suoi calleghi all'Università ha dato costantemente consigli di calma e di moderazione, consigliando le vie gerarchiche e legali ogni volta che si fosse dovuto indirizzare al Ministro un diritto o una esigenza studentesca. So che le sue idee si concretano in ciò: eque riforme economiche a mezzo del voto e del Parlamento e con tutti i metodi evolutivi concepiti dalla legge. So pure che il Santoro ha scritto articoli i quali o hanno avuto per obbietto cose letterarie ovvero se di indole politica si sono ispirati ai principi che sopra ho accennato"[10].

Una testimonianza che seppure attutisse alquanto le reali asprezze aggressive, sia presenti nell'articolo incriminato, sia, più in generale, nella polemica pubblicistica di Santoro, individuava comunque una decisa caratterizzazione della lotta di Santoro che fu sempre scevro dal predicare la violenza, anche a fini di classe.

Un'altra testimonianza, stavolta di un suo ex professore di storia al Liceo "Giannone" di Caserta, Raffaele Parisi, veniva ad arricchire la fisionomia del Santoro, anche con aspetti che riguardavano la sua fase di formazione[11]. Così testimoníò il Parísi;

“Santoro Domenico è stato mio discepolo per tre anni al Liceo di Caserta, e dei due migliori del corso per disciplina ed ingegno. Nei suoi componimenti si manifestava liberale di quella gradazione desiderata dalle amministrazioni dello Stato e manifestate in tutte le circolari ed i temi di esame dati dal Ministero della Istruzione Pubblica. Contrariamente alle idee di universalità del socialismo, so che è andato a combattere in Grecia contro gli Ottomani e so che riprovò i moti dell'agosto 1893 dicendo essere canaglia la gente che vi prese parte. Ammiratore di Garibaldi, qualunque parola da questo scritta o pronunziata fa testo per lui. Nei piccoli incidenti scolastici mi consta non aver mai voluto fare la parte di sobillatore, come ripugnante al suo carattere leale"[12].

L'ultima testimonianza riportata nel fascicolo fu quella del sotto­prefetto di Taranto Gaetano Gargiulo, che aveva avuto il Santoro come professore privato di uno dei suoi figli. Nella sua dichiarazione egli sottolineava del Santoro i suoi sentimenti “patriottici e liberali"[13].

In questa circostanza il procedimento penale si risolse positivamente per il giovane professore marcianisano, prima ancora di andare in dibattímento, per il suo proscioglimento da ogni accusa in istruttoria.

Intanto però erano ormai maturate le sue scelte politiche: il suo impegno si rivolse quindi sul duplice piano della polemica giornalistica, indirizzata in preferenza contro il blocco politico moderato, e della concreta azione politica sul campo che si espresse nel lavoro di organizzazione delle forze contadine.

Quest'ultima attività diede i suoi frutti allorquando egli poté costituire a Marcianise una lega di contadini, il cui compito era quello di rompere uno dei modelli di fittanza agraria diffuso a Marcianise proprio per le terre della Congrega, in base al quale queste non venivano fittate direttamente ai contadini, ma loro subaffittate da ricchi intermediatori, i quali intervenivano anche per quanto riguardava la collocazione dei prodotti (soprattutto la canapa) sul mercato[14].

Nell'ambito della sua attività giornalistica egli infittì i suoi attacchi contro gli amministratori di Marcianise.

In più articoli pubblicati sul periodico la Luce, organo della Federazione Socialista di Terra di Lavoro egli attaccò direttamente il sindaco Giuseppe Foglia.

In questa sede non affronteremo l'insieme delle accuse rivolte a Foglia da Santoro, in merito alla gestione dell'amministrazione comunale, ma solo quelle che hanno attinenza con la Congregazione di Carità e che meglio servono a delineare il quadro d'insieme in relazione

alla gestione dell'ente di beneficenza marcianisano che era parte ineludibile di quel blocco di potere (il potere appunto della miseria) contro cui Santoro combatteva.

Va altresì precisato che, come è noto, per alcuni di questi articoli, dopo un lungo processo in più fasi, il Santoro venne condannato per diffamazione alla pena di 10 mesi di reclusione: tuttavia la condanna va rife­rita a solo quattro delle 21 accuse in totale rivolte al sindaco Giuseppe Foglia e in particolare a presunte irregolarità nell'appalto dei lavori per la fornitura dell'acqua del Serino a Marcianise; per alcuni lavori effettuati in via Campania; in materia di appalto del dazio; e per la costruzione del Macello.

Su tutto il resto non solo non vi fu alcun processo, ma nemmeno risulta che le affermazioni del Santoro siano state smentite.

­Nell'articolo Sindaci e Consiglieri provinciali: il Sindaco di Marcianise, pubblicato sul n. 17 de la Luce, ben quattro delle sette accuse qui formulate contro la gestione amministrativa del sindaco Giuseppe Foglia (al termine della serie di articoli, come detto, le accuse diverranno ben 21) avevano come oggetto l'amministrazione della Congregazione di Carità, in ordine alla quale Santoro denunciava a chiare lettere lo stretto rapporto parentale ed affaristico tra i vari amministratori e i beneficiari di appalti:

'Ma non è per sé soltanto che il Foglia pensa, ma anche per i suoi, a maggior gloria del casato. Suo fratello[15], già processato, per aver ritirato due mandati, invece di uno, di migliaia di lire per la costruzione di un muro, è Presidente della ricchissima Congregazione di Carità, del cui patrimonio dispone come di roba sua. Per gestire la cassa, intestata a Tommaso Messore, sono in società con costui il Presidente, o per lui il fratello Lorenzo -ciò che val lo stesso, essendo la proprietà di famiglia indivisa-, Giuliano[16], componente la Congregazione medesima, e Peccerillo, fratello di altro componente[17]. L'affare, come si vede è in famiglia e furono essi componenti ad elevarsi l aggio dal 2% al 15% "[18].

Ma non finivano certo qui le accuse di Santoro che, nello stesso articolo, aggiungeva a proposito di Ciro Foglia che “a detto Presidente si dà facoltà di usare di 5 lire al giorno a suo beneplacito per i poveri. Ma il vero povero è lui e le persone serie dicono che fa benissimo" e ancora aggiungeva che "detto Presidente fa eseguire i lavori a trattativa privata a un povero fabbricatore, Valentino, persona sua. Dei mandati che costui firma, una coserella va a lui; il resto al Presidente"[19].

Sempre sui legami parentali ed affaristici dei Foglia ecco abbattersi ancora la satirica prosa del Santoro: “Ha l'appalto della fornitura del latte per l'Ospedale e per il Mendicicomio Girolamo Viciglione, cognato del sindaco, persona onesta e componente la Congregazione medesima! Comparisce il fattore di lui Lorenzo Rossi, pove­ruomo, restato fattore e privo di beni di fortuna anche dopo che per vari anni, con detta fornitura, avrebbe guadagnato molte e molte migliaia di lire"[20].

E a chiusura dell'articolo, dopo aver sottolineato che i Foglia avevano occupato in pratica tutte le amministrazioni, Monte dei Pegni compreso, dove "gli impiegati sono quasi tutti dei Foglia” Santoro si rivolgeva direttamente al prefetto che era Giuseppe Lucio: “Prefetto Lucio, perché questa gentaglia non va a rubare sulla via nuova? È possibile che la politica sporca debba coprire per sempre queste sudicerie? Quando verranno da voi a chiedere la vostra protezione paterna, fate loro questa medesima domanda, se non volete stare a paro con Sciacca[21].

E quando essi per tutta risposta vi parleranno di sovversivi, che lanciano calunnie ai galantuomini come loro; rispondete che noi siamo sovversivi, ma onesti: essi saranno uomini d'ordine, devoti a tutti i governi ed a tutti i prefetti nel loro interesse, ma che indubbiamente sono dei ladri "[22].

In un secondo articolo, apparso il 29 giugno 1901, sempre su la Luce, dal titolo I furti a Marcianise, pur dinanzi a voci insistenti che preannunziavano l'imminente querela di Giuseppe Foglia, “posto tra l'uscio e il muro" (querela, si diceva, impostagli dal prefetto), Santoro raddoppiava la dose delle sue denunce e ritornava soprattutto sulla consorteria pre­sente nell'amministrazione della Congregazione di Carità, offrendo ulteriori particolari a quanto già aveva scritto nell'articolo precedente:

"Già è noto come tutti o quasi tutti i componenti dell'Amministrazione della Congregazione di Carità siano incompatibili, poiché tre di loro, il Presidente incluso, sono in società per la Cassa; un altro ha la fornitura del latte; un altro, senza appalto alcuno, fornisce vino e calzature per l'Ospedale, il Mendicicomio e Asilo infantile, facendo comparire il falegname nullatenente Francesco Boccagna, agnominato Speranzella e così per gli altri. Insomma: “diviserunt vestimenta mea”. Alcune persone oneste, già componenti della Amministrazione, come il teologo Paolella[23], oggi Rettore del Seminario di Capua e l'avv. Carlo Accinni, vice-conciliatore, scapparono via, per scrupolo di coscienza!

La Cassa, elevata dai cointeressati dal 2% al 5% rende a costoro la discreta sommetta annua di lire 12.000. La ricchissima Opera pia possiede circa 240. 000 lire di rendita, composta di lire 50.000 sul Gran Libro, il resto è rendita di fondi rustici di prima classe fittati a solvibili e puntuali coloni. Ma il furto bello e buono è l'aggio sull'esazione delle lire 50.000 di rendita sul Gran Libro. Per il solo fastidio di recarsi un paio di volte l'anno da Marcianise a Caserta per esigere le lire 50.000 di rendita, i galantuomini si beccano la somma di lire 2.500 per i sigari!"[24].

Ed anche in questo caso, sia pure con minore convinzione dell'articolo precedente, Santoro si rivolgeva al prefetto con queste parole:

"Domandiamo al Prefetto: che intendete di fare? Voi potrete rimaner forse dubbioso dinanzi a qualcuna delle accuse da noi formulate; epperò siamo noi per primi ad invocare il processo, affinché, provata la verità delle accuse, possa poi iniziarsi azione penale contro i malfattori. Ma voi avete già in vostro potere tanti elementi amministrativi, che basterebbero a sciogliere non una, ma venti amministrazioni”[25].

Intanto la querela era partita e la causa subito fissata per il 22 luglio 1901 presso il Tribunale di Napoli: Santoro, che aveva a sua volta querelato il Foglia, era imputato di diffamazione a mezzo stampa insieme al gerente responsabile del giornale (oggi si direbbe direttore responsabile) Pietro Guarino, ma non per la totalità delle 15 accuse (diverranno tra poco 21) da lui rivolte al sindaco, ma solo per le quattro che abbiamo richiamato più sopra e che erano tutte attinenti l'amministrazione del Comune di Marcianise.

Di quella memorabile giornata, passata pressoché interamente in Tribunale, il Santoro diede un resoconto gustosissimo, da par suo, nell'ar­ticolo apparso sempre su la Luce del 28 luglio 1901, dal titolo La nostra giornata giudiziaria. I furti di Marcianise e «la Luce»[26].

Egli iniziava il pezzo, descrivendo il pubblico presente e, in particolare, gli esponenti della fazione avversa alla sua:

"Con diversi treni del mattino erano venute da Marcianise e da Caserta moltissime persone, per assistere al divertentissimo spettacolo. La banda delle Amministrazioni, fatte segno alle nostre accuse determinate, le quali non ammettono equivoci di interpretazione, era dl completo. Tutte persone che erano venute erano ben persuase come il dibattimento si sarebbe risolto tambour battent, grazie ai begli occhi del cavaliere... d'industria; senza troppe formalità il prof. Santoro, reo confesso, sarebbe stato solennemente giudicato e condannato a reclusione permanente; ed infine, prima del tramonto del sole, egli, tra í fischi egli urli degli scugnizzi, ammanettato come un qualsiasi mariuolo del pubblica denaro, come un falsificatore di mandati e di cambiali, sarebbe stato, in mezzo agli sgherri, e, seguito da un drappello armato, tradotto al Carmine o a S. Francesco. Evidentemente le fantasíe dei gentiluomimi erano abbastanza accese per la bisogna. Credevano i gentiluomini, giocanti l'ultima carta, che l'aula del Tribunale di Napoli fosse la medesima di certo Consiglio comunale e di certa Congregazione di Carità, dove gestiscono, con la protezione dell'autorità tutoria, i propri affari; e che i giudici (. ..) fossero da mettersi in un sacco solo con qualche compiacente commissario prefettizio, combinabile mercé un biglietto di banca o con mozzarelle di S. Sossio"[27].

Così non fu: per un difetto di notifica relativo al gerente del giorna­le in pratica il giudice decise il rinvio della seduta e l'iscrizione della causa a nuovo ruolo. Si ebbe modo quindi in quella seduta solo di costituire le parti e di presentare gli avvocati, che erano, per la parte civile (e quindi difensori di Giuseppe Foglia), Michele Verzillo e Umberto Farese; la difesa di Santoro e di Guarino fu assunta invece da Gaetano Cocchia e Giuseppe Labonia. Nella stessa circostanza si aggiunse ai difensori Arturo Labriola "che indosserà la toga di avvocato per difendere nell'amico suo dall'adolescenza Santoro, la causa della moralità e della giustizia, benché assente, perché infermo"[28]

Su tutti dominava la figura di Domenico Santoro "sorridente e con il solito fiorellino all'occhiello, al suo posto di combattimento"[29].

Nell'articolo dell'11 agosto 1901 Santoro, pur continuando nella linea ormai nota di denunciare le disamministrazioni alla Congrega di i Carità, attaccava direttamente l'operato dei prefetti e, in genere, della autorità tutoria:

"La Congregazione di Carità di Marcianise ha una rendita vistosa per cui i poveri potrebbero stare benissimo. Ed invece essa serve da mangiatoia ad una dozzina di lupi, che non si saziano mai! Manca financo uno statino dei poveri: sicché non si può sapere neppure esattamente a chi vadano quelle che i signori chiamano superbamente elemosine, mentre sono sacrosanti diritti del popolo di Marcianise calpestato ed angariato da pochi farabutti, senza un briciolo di dignità.

È vergognoso che, per un meschino interesse politico, i prefetti, fino ad oggi, abbiano permesso ciò; ed è inconcepibile che deputati ed ex deputati, i quali sono stati o sono o saranno ripagati dal Foglia sempre con la più nera ingratitudine (...) si facciano, non volendolo, complici del dissanguamento continuato dei poveri di Marcianise"[30].

E dai prefetti passati a quello in carica:

"Sicché, concludendo, signor Prefetto, che si fa? Noi non chiediamo nulla per noi, chiediamo atti elementari di giustizia per i nostri contadini, che non hanno nessuno se non la nostra povera voce in loro difesa. Vogliamo che sia rispettata la legge. Vorrete esser voi gratuito complice di volgari banditi e di un don Rodrigo molto in ritardo? Chi vi ci caccia in questo imbroglio? Se a quest’ora le masse fossero state educate dalla nostra propaganda, francamente non ci rivolgeremmo a voi. Ma esse sono ignoranti; tra noi per ora non vi sono leghe che discutano a tu per tu con gli sfruttatori, come nel settentrione d Italia. (...) Siamo arrivati a questo in Italia che dobbiamo pregare un prefetto perché faccia rispettare la legge?"[31].

L'ultimo articolo, pubblicato sul n. 22 de la Luce iniziava con un attacco durissimo diretto al prefetto Lucio:

"Va da sé che proseguiamo non più per il prefetto Lucio, nominato capotammurro della camorra di Terra di Lavoro, ma per il pubblico che ci preme, perché veda come tutti i prefetti che piovono da noi, date le nostre condizioni di inferiorità rispetto alle altre regioni d'Italia, si equivalgano: cioè sono tutti sovversivi, umilissimi servitori di Tizio e di Sempronio e protettori di delinquenti "[32].

Evidentemente ormai Santoro non si fidava più del prefetto né sperava in un suo intervento diretto, come si era illuso che fosse all'indomani della sostituzione del precedente prefetto Sciacca: le amministrazioni, sia quella comunale che quella della Congregazione, nonostante le sue gravissime denunce, restavano tranquillamente al loro posto: solo alla Congre­gazione di Carità, ma per atto volontario, il presidente Ciro Foglia si era autosospeso e la presidenza era stata temporaneamente affidata a Francesco Saverio Piccirillo, che era consigliere provinciale, come lo era del resto lo stesso Giuseppe Foglia.

E in quest'ultima puntata della sua requisitoria contro gli amministratori marcianisani recava ulteriori accuse (fino a raggiungere il numero di 21 in totale).

Per quanto riguarda la Congregazione di Carità Santoro denunciava con forza un'altra illegalità recentemente compiuta:

"L'amministrazione della Congrega di Carità aveva deliberato uno storno di lire 1.200 per elemosine. La Prefettura approvò persole lire 700. Ebbene il cav. Piccirillo, consigliere provinciale e funzionante presidente nei due mesi scorsi, per congedo del fratello carnale del sindaco, è rimasto dolorosamente sorpreso che le lire 700 siano già state distribuite in grosso prima dell'approvazione prefettizia a libito da costui a persone che il tacere è bello. Lo stesso cav. Piccirillo ha avuto a lamentarsi che, anche funzionando da presidente, la corrispondenza andava sempre al nominato signore. Così nauseato ha pensato bene di andarsene a fare i bagni: almeno ne guadagna in salute!"[33].

Ma ancora più grave appariva la denuncia di Santoro su come venissero distribuite le elemosine:

“A proposito di elemosine ecco come si fanno. Cosa strabiliante! Si distribuiscono di Natale e di Pasqua, come piace al presidente, ormai proprietario autentico dell'Opera Pia, pezzi di carta stampata, che sembrano staccati da un registro madre e figlia, senza numero progressivo, senza indicazione di persona, senza firma del presidente o di altri. Questi biglietti che valgono ognuno mezza lira o una lira, distribuiti confusionariamente (lo scorso Natale si dovet­te assistere allo spettacolo indegno che furono lanciati dall'alto di una finestra ad una turba di pezzenti che si prendeva a cazzotti, per contendersene uno) sono portati al cassiere, che paga. Così di questi biglietti, chi ne ha uno, chi cinque, chi dieci, come piace “o Scellenza”, i più infelici ne restano per lo più senza. Dopo il pagamento, si raccolgono i biglietti, si precisa la cifra e si fa il mandato complessivo. Nel contempo si lacerano i biglietti. V'è la gente cattiva la quale dice che non sempre la somma, precisata nel mandato, sia uguale a quella risultante dai biglietti. Ma, si sa, è una cdlunnia!"[34].

Nel contempo egli denunciava anche gravi irregolarità presso la Cassa di Prestanze.

Nelle more del processo, Santoro continuava la sua battaglia politica stavolta passando all'azione concreta dell'organizzazione di quella lega di contadini cui aveva fatto cenno nell'articolo dell' 11 agosto 1901, cosa che gli riuscì molto bene, tanto che, come sottolinea il Cimmino, la Lega dei contadini di Marcianise era "una delle più forti leghe di resistenza e

non solo della Provincia, con i suoi circa 4.000 aderenti"[35].

Il programma di questa lega era in effetti quello che già egli aveva annunciato nell'articolo citato: farsi diretto soggetto politico per rivendi­care più equi patti agrari e, nel caso della Congrega di Carità, che gestiva a Marcianise il grosso del terreno agrario, trattare direttamente con la Congrega, eliminando il subaffitto e l'opera degli intermediatori.

Ma intanto su di lui si abbattevano gli strali della magistratura: il processo, dopo una prima assoluzione[36], lo vide sconfitto in appello e condannato a 10 mesi di reclusione per diffamazione a mezzo stampa.

Stavolta a sostenere l'accusa contro Santoro fu il più famoso ed importante avvocato napoletano, Giovanni Porzio, la cui arringa, tenuta nelle sedute del 12 e del 14 giugno 1902 contro Santoro e quindi a difesa di Giuseppe Foglia fu addirittura pubblicata a stampa e ampiamente diffusa a Marcianise”[37].

“Fuggiasco per l'Italia e la Svizzera, tradito, vuole una tradizione orale, da un prete del suo paese, venne arrestato a Roma mentre si recava nella sede dell’"Avanti!”; dove negli ultimi tempi lavorava. Dal carcere doveva uscire, minato nel fisico, solo per morire a 31 anni, il 2 novembre 1903"[38].

Di tutti i giudizi numerosi che furono espressi in ordine alla vita e all'opera di Domenico Santoro, questo “cavaliere dei pezzenti” come lo definì Nicola Ricciardi, che ne fece una commossa rievocazione su la Luce[39], mi limito qui a citare alcune delle frasi dettate da Arturo Labriola a prefazione del volume Due scritti di Domenico Santoro pubblicato nel 1910.

Con accenti commossi Labriola ricordava, a sette anni dalla morte “questo mio amico dei

primi anni, questo Domenico Santoro che io vidi crescere, sorridere, meditare e sfiorire nel breve giro di un decennio, lasciando, per unico retaggio, un incancellabile ricordo di sé nella memoria dei sodali e dei suoi"[40].

E più avanti aggiungeva:

“Il mio amico Santoro aveva bella la persona, come delicato e adorno di eleganze l'animo. Egli non era fatto per i commerci lucrosi o per la carriera tranquilla. Il suo spirito armonico tendeva ad un fine di armonia anche nel vivere pratico. Era offeso naturalmente dalla disonestà, che è una brutta lebbra morale, come dall'altrui miseria, che è una macchia composta di tutti i più ripugnanti colori. Ma egli non era un contemplativo. Alieno ed estraneo, come egli sentiva, a questo mondo di miseri e di disonesti, fremeva di sdegno a dover­vi vivere in mezzo. Lo urtò, lo investì, l'assaltò, lo colpì; la mole scossa, traballando, rovesciò su di lui il rudere più malfermo e sconcio. Vi soggiacque, perché è un destino che don Chisciotte stramazzi sotto i colpi di un barbiere mascherato e il carnefice sia generalmente il più spregevole e ignoto degli uomini!"[41]. Le denunce di Santoro comunque non rimasero senza effetto e, mentre ancora si era nel vivo della vicenda processuale, il prefetto nominò nel maggio 1902, senza ancora però sciogliere ufficialmente l'amministrazione della Congregazione, una commissione d'inchiesta costituita dai funzionari della Prefettura di Caserta Francesco Cossu, Enrico Bernasconi ed Enrico d'Arienzo.

Ci volle poco a questa commissione ad acquisire elementi che consigliarono il prefetto Lucio a sciogliere del tutto l'amministrazione e a nominare al suo posto Ettore Novi, prima in qualità di commissario prefettizio e poi di regio commissario[42].

Le gravi responsabilità dell'amministrazione, su cui si era esercitata l'eloquenza oratoria di Domenico Santoro, soprattutto sotto l'aspetto finanziario, furono inoltre più volte denunciate e sancite dalla Giunta Provinciale Amministrativa della Prefettura di Caserta, soprattutto in relazione ai conti consuntivi degli anni 1889, 1900 e 1901, come fedelmente riportava il Cossu nella sua più volte citata Relazione dalla quale si apprende che "i conti finanziari degli esercizi 1899, 1900, 1901 furono decisi dall'onorevole G. P. A. nelle tornate del 18, 25 giugno 1903, con le significhe di diverse perdite al Tesoriere[43] e con molte responsabilità a carico degli amministratori. Le relative decisioni furono intimate al Tesoriere ed agli amministratori con atti dell'8 e 10 luglio 1903, per l'usciere Ubaldo Tocco. Sulla decisione del conto 1899 fu avanzato ricorso alla Corte dei conti e fu deciso quasi del tutto favorevolmente. Sulle decisioni del 1900 e del 1901 fu nel 13 settembre 1903 avanzato ricorso alla Giunta Provinciale Amministrativa e nulla è stato deciso al riguardo"[44].

Ho preferito riassumere a larghe linee la vicenda di Santoro, non solo perché di essa vi è un’eco massiccia nelle memorie di Armiero, ma perché quella esperienza condizionò in qualche misura l’evoluzione del movimento attraverso la trasfigurazione quasi mitica del martire, contribuendo a dare sostanza ed intransigenza al gruppo dei suoi “fedeli”, pronti ad accusare di trasformismo politico e di tradimento coloro che sembravano venire a patti con il “nemico”. Una posizione che alimentò, qui a Marcianise ben più di una scissione.

Ed è a questo punto che entra in gioco la figura di Saverio Merola, di colui che, come dice Armiero, raccolse la fiaccola direttamente da Domenico Santoro, e intorno a lui inizialmente si riunì l’esigua pattuglia dei socialisti marcianisani.

Ma Merola fu ambiguo nel dirigere la lotta e, almeno così asserisce Armiero, invece di

favorire l’unità, operò per il frazionismo e la divisione, isolandosi dal gruppo degli intellettuali più consapevoli, lo stesso Armiero, ma soprattutto Elpidio Jenco e Massimo Gaglione, che lo combatterono.

Inutile dire che in questo scontro si opponevano due visioni contrastanti: il populismo, a volte un po’ demagogico e non privo di accomodamenti di compromesso di Saverio Merola; la purezza ideale del gruppo dei più giovani, maggiormente legati al partito e sostenitori di una lotta che legasse le forze marcianisane al movimento socialista di Terra di Lavoro, in quegli anni rappresentato dalla nobile figura del sammaritano Antonio Indaco.

Lo scontro ci fu e fu di notevoli dimensioni: così nell’opera di Armiero si ha modo di poter verificare i momenti, le occasioni e anche i risvolti di una battaglia politica aspra, all’interno dello stesso movimento popolare.

Comunque i metodi di Merola risultarono elettoralmente più paganti: così Merola vinse e conquistò per la prima volta il Comune, dando un segnale forte che la lotta poteva avere successo e che i “signori” potevano essere sconfitti.

Fu questo il merito maggiore di Merola, che, non a caso, cercò di lavorare, dopo il successo elettorale, per l’unità del movimento dando particolare enfasi all’intitolazione della principale strada cittadina al nome di Domenico Santoro, e, soprattutto, facendone collocare i resti mortali all’interno della stessa cappella municipale, vicino alle tombe dei potenti signori marcianisani.

Furono gesti simbolici particolarmente importanti, come importante a segnalare un mutato indirizzo fu anche la polemica che oppose Merola al Capitolo della Collegiata di San Michele Arcangelo, a proposito della festa del Crocifisso, di cui mi sono occupato nel mio volume su Il Duomo di Marcianise[45], e che ebbe il significato per Merola di aprire una polemica ulteriore con il blocco signorile di cui il clero marcianisano, quasi tutto prono all’interesse della classe egemone, costituiva un sostegno non secondario

Ma fu una vittoria di Pirro. C’era da fare i conti con il fascismo che nel ‘22 con Benito Mussolini era andato al potere. Cosa sia stato il movimento fascista per i socialisti locali Armiero non lo dice, ma certe ambivalenze o addirittura adesioni in quell’area non devono sorprendere.

Lo stesso manifesto di Merola, che Armiero riporta, costituisce un documento in qualche misura esemplare, soprattutto se messo a confronto con qualche articolo di Massimo Gaglione di poco successivo, che lascia intuire una qualche adesione al movimento.

Il fatto è che non era ancora del tutto chiara la natura dittatoriale del fascismo, che divenne regime solo all’indomani dell’assassinio di Matteotti nel ‘24, e molti avevano nel cuore e nella mente il programma del cosiddetto fascismo-movimento, quello, cosiddetto di San Sepolcro, che prevedeva l’attuazione di un progetto politico con molti punti in comune con il socialismo.

Del resto anche il forte spirito antiborghese presente nel primo fascismo poteva ingannare sulle finalità ultime del movimento che si resero chiare, come detto, solo dopo il 1924. Di questo periodo Armiero ci dà indicazioni sommarie, ma non generiche, soffermandosi sul clima generale presente in città.

Il fascismo a Marcianise rafforza il sistema di potere contro cui si era lottato, irreggimenta il popolo e rende impossibile la vita ai socialisti che ritornano per così dire, nelle catacombe. Quanto piatta, incolore, se non nell’aspetto più tripudiante di una adesione totale al fascismo, sia la vita a Marcianise in quegli anni lo si intuisce dai pochi episodi che Armiero cita: la città viene inquadrata nelle varie associazioni parafasciste, mentre la classe dirigente al potere in quegli anni, vestita di orbace, è la stessa dei decenni precedenti. Il regime trova forza nelle stesse energie dominanti della città e i socialisti, come le altre poche forze democratiche, scompaiono pressoché del tutto, o meglio vivono lasciando nella clandestinità del loro cuore il loro ideale politico, mentre Merola fu costretto praticamente alla miseria. L’ultimo atto visibile di cosciente “resistenza” fu quello della protesta fatta in occasione dell’assassinio di Matteotti, poi più nulla.

La vita democratica riprende già con la liberazione di Marcianise dell’ottobre del 1943: gli Americani mettono a capo del comune quel Saverio Merola che fu forse l’unico antifascista “ufficiale” che la comunità potesse vantare e subito dopo, ancor prima della fine della guerra, si costituiscono i partiti democratici.

Armiero partecipa alle riunioni per la ricostituzione del partito socialista in zona, ma deve anche, in verità alquanto amaramente, vedere la diaspora dei socialisti che confluiscono in gran numero nel partito comunista e, di lì a poco, l’appiattimento del PSI sulle posizioni del PCI al tempo del fronte popolare.

Armiero parla di sfuggita di questi eventi, anche perché si sente un reduce da altri tempi: decide perciò di passare la mano e da protagonista di diventare un testimone, forse anche un sopravvissuto.

Così scrive quando, di fatto, resta isolato, nel momento in cui vede la fuga dei vecchi compagni verso il PCI, al termine di quella riunione tenuta a Capodrise presso il laboratorio di falegnameria di Pasquale Jenco, dove aveva rifiutato di diventare segretario della sezione del PCI:

“Armiero, ringraziando per l’indicazione del suo nome, si dichiarò dolente di non poter dare la sua adesione fino a quando non avrebbe avuto la possibilità di avere contatti con i suoi amici di Napoli.

Tutti gli altri, frementi di agire (meno il prof. Gionti che si associò ai concetti esposti da Armiero), entrarono con bandiere spiegate al vento, nel partito comunista.

Armiero e Gionti lasciarono il laboratorio con profonda amarezza. Un mondo ideale era crollato. Circa quarant’anni di comune lotta all’improvviso, senza una ragione, né un contrasto, terminava.

Per l’ansia di muoversi, agire, i vecchi amici avevano oltrepassato la frontiera ideale, per sperimentare un nuovo metodo di lotta, più avanzata, più aggressiva per trasformare le strutture della Nazione”.

Un altro mondo si apriva.

Salvatore Delli Paoli

[1] S. DELLI PAOLI, Il potere della miseria. La Congregazione di Carità di Marcianise tra Ottocento e Novecento, Marcianise 1998 (1 ristampa 2002).


[2] Nato a Marcianise nel 1817 il canonico Giovan Battista Novelli rappresenta una singolare figura di prete imprenditore che fu allevatore di cavalli e di bestiame, ricco possidente agrario, ma anche appaltatore di terreni, speculatore economico, tenutario delle vasche per la macerazione della canapa, proprietario di mulini, esattore di imposte ed altro. Con queste sue attività accumulò un patrimonio valutato ufficialmente nel 1881 a poco meno di 3 milioni e 500 mila lire, che decise di devolvere, con testamento del 10 maggio 1880, pressoché interamente ai poveri di Marcianise e da amministrare da parte della Congrega di Carità, che doveva potenziare le sue istituzioni di beneficenza mediante la costituzione di orfanotrofi ed altre opere da raggruppare sotto la dizione di “Pie Istituzioni umanitarie G. B. Novelli”.

Sulla figura e l'opera di G.B. Novelli, cfr. S. DELLI PAOLI, G.B. Novelli cerca uno storico, in "Il Mattino", 22/1/1981, p. 7; S. DELLI PAOLI, Il potere della miseria, cit., pp. 97-120.


[3] Per la storia del Monte di Pietà di Marcianise, cfr. S. DELLI PAOLI, Il Duomo di Marcianise, Napoli 1982, pp. 45-54; S. DELLI PAOLI, Il Monte di misericordia, “Il Mattino”, 11.6.1974, p. 7; S. DELLI PAOLI, Il Monte di socialità, “Il Mattino”, 29.8.1980, p. 9.


[4] Utilizzo, con integrazioni e tagli, parti del mio Il potere della miseria, pp. 216-231. Sulle celebrazioni nel primo centenario della morte di Domenico Santoro cfr. S. DELLI PAOLI, Un libro per ricordare Domenico Santoro, “Il Mattino”, 5.4.2003, anno CXII, n. 94, p. 38.; S. DELLI PAOLI, Santoro, un comitato per le celebrazioni, “Il Mattino”, 22.6.2003, anno CXII, n. 169, p. 43; S. DELLI PAOLI, Domenico Santoro, l’intellettuale della libertà, “Il Mattino”, 27.9.2003, anno CXII, n. 265, p. 36.


[5] D. SANTORO, Primavera ellenica. Ricordi dell'ultimo volontariato, Stabilimento Tipografico Pompeiano, Scafati-Pompei, 1900. Tutte le opere di Domenico Santoro sono state ripubblicate a cura di A. MARINO e T. ZARRILLO, Domenico Santoro, il garibaldino, il politico, il letterato, con prefazione di F. Valentino, Napoli, Guida 2003. Il volume comprende La primavera ellenica, L’arte di Emilio Zola, I giornalisti nella Rivoluzione Francese, La storia di una condanna, Pagine letterarie, il Discorso tenuto al secondo Congresso socialista di Terra di Lavoro, con una raccolta di testimonianze.


[6] D. SANTORO, Due Giugno, in "La Martinella", anno I, n. 14, 5 giugno 1898.


[7] TRIBUNALE CIVILE E PENALE DI S. MARIA C. V., Procedimento penale contro Santoro Domenico di Giuseppe di anni 25 di Marcianise; Cerrone Ernesto fu Vincenzo, di anni 28 di Falciano di Caserta. Corte di Assise di S. Maria C. V., n. 85/98 del registro della Procura generale.


[8] “Conosco Domenico Santoro di Giuseppe di questo Comune, professore di lettere italiane e fìlosofia e lo stesso è di carattere mite e non ba mai manifestato idee di sovversione delle attuali istituzioni ".

Ivi.


[9] Ivi.


[10] Ivi.


[11] Raffaele Parisi fu incaricato della cattedra di storia presso il Liceo-Ginnasio "P Giannone" di Caserta dal 1887 al 1893.

cfr. LICEO GINNASIO "P GIANNONE" CASERTA, Primo Centenario, 1866-1966, Caserta, 1967, p. 239.


[12] Ivi.

Il testimone veniva così identificato nel verbale: “Parisi Raffaele fu Nicola, di anni 55, da Napoli, domiciliato in via Cesare Carmignano, 13, professore e direttore del giornale "La lega del bene".


[13] Ivi.

Questa la testimonianza resa da "Gargiulo Cav. Gaetano, di Domenico, di anni 44, sotto Prefetto di Taranto in licenza attualmente a Caserta: Conosco il Sig. Santoro Domenico come giovane molto dedito allo studio egeneralmenze stimato per il suo ingegno e per la sua cultura. Perciò lo pregai di impartire l'insegnamento privato ad uno dei miei figliuoli. Posso attestare che avendo avuto occasione molte volte di avvicinarlo per la ragione innanzi espressa non ho mai avuto a riscontrare in lui intemperanza di idee ma semplicemente sentimenti patriottici e liberali”.


[14] Per questi aspetti, cfr. C. CIMMINO, Dalla democrazia al socialismo: Domenico Santoro, Caserta, 1982, p. 7.


[15] Si tratta di Ciro Foglia. La questione del doppio mandato riscosso riguarda un muro del Mendicicomio di via Madonna della Libera, oggi sede dell’Itis.


[16] Si tratta di Francesco Giuliano.


[17] Si tratta di Francesco Saverio Peccerillo.


[18] D. SANTORO, Sindaci e Consiglieri provinciali: il Sindaco di Marcianise, in "la Luce", n. 17 del 16 giugno 1901.


[19] Ivi.


[20] E così proseguiva: “Il regolamento dice che il latte bisogna mungerlo nel cortile dell'Ospedale e del Mendicicomio; ma il Viciglione lo fa mungere a casa sua. Va bene che non ci può essere sospetto alcu­no con una persona così onesta; va bene che il regolamento aggiunge « o in altro luogo che meglio creda l'amministrazione». Ma noi consiglieremmo di far mungere il latte sopra luogo, non per altro che per far tacere alcuni malevoli, i quali osano insinuare, anche contro il parere n. 2 del Medico Provinciale, che cioè il latte sia benedetto. E così gli ammalati se ne vanno, benedetti, all'altro mondo!”.

Ivi.


[21] Allude a Gaetano Sciacca, prefetto di Caserta negli anni 1899-1900, immediato predecessore di Giuseppe Lucio.


[22] Ivi.


[23] Si tratta di Giuseppe Paolella canonico teologo della Collegiata di S. Michele Arcangelo, Duomo di Marcianise.


[24] D. SANTORO, I furti a Marcianise, in "la Luce", n. 18 - 29 giugno 1901.


[25] Ivi.


[26] D. SANTORO, La nostra giornata giudiziaria. I furti di Marcianise e “la Luce"; in "la Luce", n. 20 - 28 luglio 1901.


[27] Ivi.


[28] Ivi (passim).

Arturo Labriola stese la prefazione al volume postumo di Domenico Santoro che raccoglieva due saggi, uno su Zola e l'altro sul giornalismo nella Rivoluzione francese:

D. SANTORO, Due scritti (con prefazione di Arturo Labriola), Tipografia della Libreria Moderna, Caserta, 1910.


[29] Ivi.


[30] D. SANTORO, Furti di Marcianise, in "la Luce", n. 21 - 11 agosto 1901.


[31] Ivi.


[32] D. SANTORO, I furti di Marcianise. Altre accuse, in "la Luce", n. 22.


[33] Ivi.


[34] Ivi.


[35] C. CIMMINO, o. c., p. 7. E più di recente sempre del compianto C. CIMMINO, Modernizzazione e socialismo nel Mezzogiorno: Aspetti - Il caso della provincia di Terra di Lavoro, in G. ARAGNO, A. ALOSCO, C. CIMMINO, M. TROTTA, Economia e socialismo a Napoli ed in Campania dalla fine dell'800 al fascismo (a cura di Carmine Cimmino), Rivista Storica di Terra di Lavoro, anno XIX, gennaio-dicembre 1994, nn. 33-34, p. 71.


[36] cfr. C. CIMMINO, o. c., p. 8.


[37] G. PORZIO, Arringa in difesa del cav. Giuseppe Foglia, sindaco di Marcianise, parte civile contro Domenico Santoro, ed il gerente del giornale "la Luce'; imputati di diffamazione, Tipografia editrice Tocco & Salvietti, Napoli, 1902.


[38] C. CIMMINO, o. c., p. 8.


[39] N. RICCIARDI, Mimì Santoro, in “la Luce", n. 23 - 10 novembre 1903.


[40] A. LABRIOLA, Prefazione a Due scritti di Domenico Santoro, cit., p. 6.

Arturo Labriola (Napoli 1873-1959), fu un importante esponente della lotta socialista in Italia. Laureato in giurisprudenza a Napoli, aderì nel 1895 al Partito socialista, al cui interno espresse posizioni contrarie alla linea di Filippo Turati. Esule in Svizzera e in Francia per sfuggire a una condanna inflittagli per la partecipazione alle agitazioni del 1898, rientrò in Italia nel 1900 stabilendo la sua residenza a Milano. Lì organizzò un gruppo sindacalista rivoluzionario dal quale si staccò nel 1913, anno in cui divenne deputato al Parlamento italiano. Interventista nel 1915 e ministro del Lavoro nel 1920-21 con il governo Giolitti, in seguito si oppose al regime fascista, così che fu costretto all'esilio. Rientrato in Italia nel 1935, dopo la liberazione si avvicinò al Partito comunista e fu eletto deputato all'Assemblea costituente (1945). Fu professore universitario e autore di numerosi scritti politici ed economici.


[41] Ivi, p. 7.


[42] Ettore Novi svolse la sua funzione di amministratore straordinario della Congregazione di Carità di Marcianise, in qualità di commissario prefettizio dal 18 giugno 1902 al 13 dicembre dello stesso anno. Dal 14 dicembre 1902 al 12 agosto 1903, in qualità di regio commissario.

Durante la sua gestione per il periodo che va dal 13 gennaio al 12 agosto 1903 fu coadiuvato da Enrico Gagliani, in qualità di revisore dei conti.

F. COSSU, Relazione del Regio Commissario Cossu dottor Francesco, Marcianise, 1907. pp. 10-11.


[43] Il tesoriere della Congregazione di Carità era Tommaso Messore, disinvoltamente passato dalla carica di presidente a quella, evidentemente più lucrosa, di tesoriere, appunto, come del resto aveva fatto il suo grande maestro il canonico Giovan Battista Novelli in precedenza.


[44] E COSSU, Relazione, cit., p. 71.


[45] S. DELLI PAOLI, Il Duomo di Marcianise, cit., pp. 76-82.

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